Laparoscopia del rene

La descrizione della prima nefrectomia laparoscopica nel 1991 da parte di Ralph Clayman è comunemente accettata come l’inizio dell’era della moderna laparoscopia urologica. Da questa prima incoraggiante pubblicazione, in cui era descritto l’intervento, della durata di circa 9 ore, in una paziente anziana, impiegando un accesso transperitoneale, il numero di pubblicazioni relative alla riproducibilità ed efficacia della nefrectomia laparoscopica è aumentato progressivamente negli anni, in particolar modo per quanto concerne la nefrectomia laparoscopica per le patologie benigne. Data la posizione retroperitoneale del rene, grazie alla corretta codifica della creazione dello spazio retroperitoneale proposta da Gaur, accanto alla nefrectomia laparoscopica transperitoneale vennero descritti approcci retroperitoneoscopici di altrettanta validità ed efficacia. Infatti, i vantaggi della chirurgia minimamente invasiva apparivano particolarmente evidenti nella chirurgia renale rispetto alla chirurgia a cielo aperto: minori sanguinamenti, ridotto dolore post-operatorio e conseguente minor degenza, più rapida convalescenza e ripresa della vita di relazione e delle attività lavorative. Da ultimo, di importanza soprattutto nei pazienti più giovani, un miglior risultato estetico. All’inizio degli anni ’90, vi erano alcune remore relativamente alle possibili problematiche di efficacia oncologica della laparoscopia, motivo per cui la chirurgia laparoscopica oncologica renale (nefrectomia radicale) era confinata presso alcuni centri pionieristici di elezione, dedicati alla laparoscopia urologica.
Negli anni, l’evidenza di una adeguatezza oncologica della nefrectomia radicale laparoscopica, con risultati equivalenti alla nefrectomia radicale a cielo aperto associata alla corretta codifica delle tecniche chirurgiche laparoscopiche da un lato e dallo sviluppo tecnologico dall’altro ha consentito un’accettazione sempre più ampia da parte della comunità urologica di questo intervento, con conseguente progressiva e capillare diffusione. Oggi, grazie alla ampia diffusione delle moderne tecniche d’imaging ed il progressivo aumento dei programmi di screening, l’urologo moderno si trova sempre più frequentemente coinvolto nella gestione e trattamento di piccole masse renali, inferiori a 4 cm, diagnosticate incidentalmente. In considerazione del fatto che circa il 20% di queste lesioni risulta di natura benigna all’esame istologico definitivo e che frequentemente, queste masse hanno una ridotta aggressività biologica, la necessità di trattamenti minimamente invasivi, con ridotto impatto sulla funzionalità renale, ma oncologicamente efficaci, è una esigenza universalmente sentita da parte della comunità urologica. In questa ottica hanno trovato sviluppo ed applicazione le tecniche nephron-sparing (“risparmio del rene”). Con la diffusione delle tecniche chirurgiche nephron-sparing, che hanno documentato una equivalenza oncologica alla nefrectomia radicale nelle lesioni renali T1, parallelamente alla diffusione della nefrectomia laparoscopica, si è assistito alla codifica e alla progressiva diffusione della tumorectomia renale laparoscopica, intervento sicuramente più complesso e che richiede una esperienza laparoscopica importante. Nel nostro centro la nefrectomia laparoscopica rappresenta lo standard terapeutico da oltre 10 anni. Grazie alla progressiva codifica della tecnica chirurgica di nefrectomia radicale laparoscopica, con accesso sia transperitoneale sia retroperitoneale, le indicazioni alla chirurgia laparoscopica renale sono virtualmente le stesse della chirurgia renale a cielo aperto. Infatti, è stata documentata la fattibilità ed efficacia della nefrectomia radicale laparoscopica per lesioni di grosse dimensioni, con invasione neoplastica della vena renale e la nefrectomia radicale citoriduttiva, così come sono state riportate diverse tecniche per consentire l’esecuzione di una corretta ischemia in corso di tumorectomia renale laparoscopica in casi "difficili" , similmente a quanto riportato nella chirurgia open, al fine di ridurre i danni funzionali al parenchima renale residuo.
Pertanto, le controindicazioni assolute alla chirurgia laparoscopica renale rimangono i tumori renali permagni o con importante trombosi del distretto venoso (trombi cavali estesi) oppure le condizioni generali del malato, che controindichino l’esecuzione di un intervento laparoscopico, quali una severa cardiopatia-vasculopatia, una severa broncopneumopatia, squilibri non correggibili della coagulazione o stati settici.
Le altre controindicazioni "storiche" alla laparoscopia, quali obesità, precedenti interventi di chirurgia addominale, età avanzata del paziente, eccetera, si sono dimostrate relative all’esperienza laparoscopica del team chirurgico.

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pubblicato il 2018/06/25 13:11:00 GMT+2 ultima modifica 2018-07-02T09:08:29+02:00